“Houseboat” sul Tevere: per la Cassazione occorre comunque il permesso di costruire

Chi vuole realizzare il sogno di avere una  casa sul fiume deve ottenere il permesso di costruire perché non basta la sola concessione. Per la Corte di Cassazione (sentenza 12387) — scrive Il Sole 24 Ore — i cosiddetti fiumaroli che seguono la moda della casa galleggiante, senza essersi prima messi in regola con il Testo unico sull’edilizia (Dpr 380/01), commettono il reato di abuso edilizio. Partendo da questa premessa la Suprema Corte respinge il ricorso dell’imputato, un architetto-imprenditore che aveva realizzato sul Tevere, e dunque in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, un Resort galleggiante di due piani, composto da otto appartamenti e vari terrazzi in forza di una concessione e di un parere tecnico della Ausl ma senza il permesso di costruire. Secondo il proprietario della “houseboat”, adibito a circolo privato per amanti del canottaggio e della “dolce vita” sull’acqua, i galleggianti che stazionano sul biondo fiume della città eterna sarebbero sottratti alla disciplina urbanistica, anche quando, come nel suo caso, c’era stato un cambio di destinazione da attività ricreativa ad abitazione. In subordine invocava il riconoscimento della sua buona fede, considerando le autorizzazioni già ottenute dalla pubblica amministrazione e l’oggettiva difficoltà di interpretare la legge sul punto. La Cassazione non è d’accordo. I via libera ricevuti, per lo più riferiti ad aspetti prettamente idraulici, avevano lasciato impregiudicata la necessità di ulteriori permessi e fatto salve altre disposizioni vigenti. Inoltre l’imputato aveva il dovere, anche “rafforzato” in virtù della sua doppia qualifica di architetto e imprenditore, di contattare gli uffici comunali per avere chiarimenti sugli atti amministrativi. Spiegazioni che intanto fornisce la Suprema corte. Per la Cassazione le caratteristiche qualificavano la casa galleggiante come intervento di nuova costruzione (Dpr 380/01) perché comportavano una trasformazione edilizia e urbanistica del territorio. L’abitazione sul fiume rientrava tra le opere definite, a titolo di esempio dalla norma (articolo 3 comma 1 lettera e5) e in particolare, tra le «strutture o imbarcazioni utilizzate come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini o simili non diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee». I giudici della terza sezione penale sottolineano che la necessità del permesso di costruire per le strutture galleggianti ancorate alle sponde del Tevere è stata riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa, in casi analoghi. Anche i fondali subacquei, infatti, vanno considerati come suolo, in questo caso demaniale e le strutture stabilmente installate sull’acqua sono assoggettabili al testo unico sull’edilizia (articoli 3, 10 e 35). Il principio dettato dalla Cassazione non vale soltanto per chi sul fiume vuole vivere ma anche per chi crea un luogo di lavoro: ristoranti, ritrovi, depositi, magazzini, studi ecc. Per tutti c’è bisogno del permesso di costruire a meno che le strutture non siano destinate a soddisfare delle esigenze in un tempo limitato. Nel caso esaminato però — conclude Il Sole 24 Ore — il reato è prescritto.

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